
Il tragico omicidio del bambino di 9 anni, sgozzato dalla madre 55enne nella sua abitazione a Muggia (Trieste), ha scosso profondamente l’opinione pubblica, sollevando interrogativi angoscianti sulle dinamiche familiari e sulla protezione dei minori. Il piccolo era affidato al padre, e la sua mancata riconsegna la sera precedente aveva fatto scattare l’allarme, culminato nel macabro ritrovamento da parte di polizia e vigili del fuoco. A gettare luce sulle possibili motivazioni e sulle falle del sistema di tutela è intervenuta la criminologa Roberta Bruzzone. L’analisi della Bruzzone non risparmia critiche, concentrandosi sulla modalità cruenta dell’omicidio e sul ruolo dei Servizi Sociali.
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Il ruolo dei servizi sociali
Un elemento che ha suscitato la forte reazione della criminologa è la circostanza che la famiglia fosse già sotto l’osservazione dei Servizi Sociali. Questa situazione di monitoraggio avrebbe dovuto, nelle aspettative della Bruzzone, rappresentare una rete di protezione più efficace per il minore. “Mi fa rabbrividire che la situazione fosse già seguita dai servizi sociali, quindi c’erano già delle criticità manifeste,” ha commentato l’esperta, esprimendo sorpresa per la presunta sottovalutazione del rischio.
Il fatto che il bambino fosse stato affidato al padre è di per sé un segnale gravissimo della condizione della madre. La Bruzzone ha chiarito che l’allontanamento di un bambino così piccolo da un genitore è una decisione estrema che si prende solo quando la genitorialità materna è “completamente compromessa” da problematiche psichiatriche serie.

Di conseguenza, l’interrogativo cruciale riguarda la gestione dei contatti: “Quello che non si comprende è perché questo bambino non avesse la possibilità di vedere la madre in maniera protetta, posto che c’era una criticità importante.” L’esperta ha ribadito che, in presenza di un genitore con problematiche psichiatriche di tale portata, la prassi standard dovrebbe essere quella di evitare contatti diretti con minori in assenza di altre figure di riferimento o di un contesto protetto.
L’escalation di violenza evidenziata dall’atto brutale suggerisce che la pericolosità della situazione, sebbene “non apparisse così grave” a vicini e conoscenti, era reale. Secondo la Bruzzone, “probabilmente questa persona è stata in grado di dissimulare la gravità del proprio proposito, la pericolosità della sua condizione,” il che ha contribuito alla mancata attivazione di misure di sicurezza più stringenti.
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