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Mamma e figlia morte intossicate, ipotesi shock: “Cosa le ha avvelenate”

La dinamica della tragedia familiare a Pietracatella

Secondo quanto ricostruito finora, il nucleo familiare aveva trascorso la vigilia di Natale in casa, consumando un pasto tipico delle festività, a base di pesce e altri prodotti. La situazione è precipitata poche ore dopo, quando i primi sintomi – malessere, dolori e disturbi gastrointestinali – hanno iniziato a colpire in sequenza i componenti della famiglia.

A risentire in modo più grave del presunto avvelenamento sono state Antonella Di Ielsi e la figlia minore Sara. Entrambe sono state accompagnate al pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli di Campobasso, dove sono state visitate e sottoposte ai primi accertamenti. La quindicenne, in particolare, avrebbe avuto due accessi distinti al dipartimento di emergenza, elemento che oggi è al centro delle verifiche giudiziarie.

Il padre, Gianni Di Vita, è rimasto anch’egli vittima della presunta intossicazione e si trova ricoverato all’ospedale Spallanzani di Roma, struttura di riferimento nazionale per le malattie infettive e le patologie complesse di natura tossicologica. Le sue condizioni, secondo le informazioni diffuse, sarebbero stabili, ma il quadro clinico viene monitorato costantemente per escludere complicazioni.

La figlia maggiore, che non avrebbe preso parte al pasto consumato il 24 dicembre, è stata trasferita in ospedale in via cautelativa. La giovane è stata sottoposta a controlli e osservazione clinica, ma non avrebbe mai manifestato sintomi compatibili con un avvelenamento o una tossinfezione. Questo dato, al momento, viene considerato significativo per la ricostruzione delle possibili fonti di contaminazione.

Indagine penale e verifiche sulle procedure sanitarie

La gestione dei casi in ambito ospedaliero è ora uno dei punti chiave dell’inchiesta. Il procuratore di Campobasso, Nicola D’Angelo, ha spiegato che l’obiettivo è esaminare in modo dettagliato l’intera sequenza degli interventi medici che hanno riguardato madre e figlia, a partire dai primi accessi in pronto soccorso fino al peggioramento clinico e al decesso.

Al centro delle verifiche vi sono i due accessi al pronto soccorso effettuati dalla quindicenne. Gli inquirenti intendono stabilire quali esami siano stati disposti, quali terapie siano state avviate, quali valutazioni siano state fatte sui sintomi e se vi siano stati eventuali ritardi, sottovalutazioni o mancate diagnosi. La Procura ha disposto il sequestro delle cartelle cliniche e di tutta la documentazione sanitaria.

Secondo quanto riferito dalla stessa Procura, la particolarità e la gravità del quadro clinico reso noto dai sanitari hanno imposto accertamenti multidisciplinari, coinvolgendo diversi specialisti. L’intento è verificare se siano stati rispettati i protocolli diagnostici e terapeutici previsti in casi di sospetta tossinfezione o avvelenamento e se, in ogni fase, siano state adottate tutte le misure ritenute adeguate dalla scienza medica.

Le ipotesi di reato di omicidio colposo e lesioni colpose a carico dei medici indagati non rappresentano al momento una condanna, ma una tutela per consentire lo svolgimento di tutti gli accertamenti con la massima trasparenza. Solo al termine delle perizie, delle consulenze tecniche e delle analisi cliniche sarà possibile chiarire se vi sia stata effettivamente una responsabilità sanitaria oppure se il decesso sia riconducibile esclusivamente a un evento tossicologico imprevedibile.

Rilievi della polizia e ricostruzione della tragedia della famiglia Di Vita

Rilievi in casa e analisi sugli alimenti consumati a Natale

Parallelamente alle verifiche ospedaliere, le indagini si stanno concentrando anche sull’ambiente domestico e, in particolare, sul cibo consumato dalla famiglia nella giornata del 24 dicembre. La polizia è tornata più volte nell’abitazione di Pietracatella per effettuare rilievi, raccogliere campioni e sequestrare gli alimenti ancora disponibili.

Fra i prodotti posti sotto osservazione vi sono in particolare vongole, cozze, seppie, baccalà e una serie di funghi confezionati e certificati, che sarebbero stati serviti durante il pasto festivo. I campioni sono stati inviati ai laboratori competenti per accertare la presenza di eventuali batteri, tossine naturali, agenti chimici o residui di sostanze nocive potenzialmente in grado di provocare una tossinfezione alimentare.

Le analisi in corso non si limitano alla verifica della freschezza e della corretta conservazione dei prodotti ittici, ma includono anche la ricerca di agenti più rari o meno immediatamente riconoscibili. Nel caso dei funghi confezionati, che risultano regolarmente certificati, si stanno effettuando controlli approfonditi per escludere contaminazioni accidentali in fase di lavorazione o confezionamento.

Gli inquirenti vogliono inoltre ricostruire nel dettaglio le modalità di preparazione dei piatti: temperature di cottura, tempi di conservazione in frigorifero, eventuale utilizzo di ingredienti aggiuntivi e condizioni igieniche degli ambienti di lavoro domestici. Ogni elemento potrebbe fornire un tassello utile a comprendere se l’origine dell’intossicazione sia riconducibile esclusivamente al cibo o se siano intervenuti altri fattori, di natura chimica o ambientale.

La pista della farina e il possibile contatto con veleno per roditori

Accanto alla pista principale legata agli alimenti serviti a tavola, gli investigatori stanno valutando anche un’altra ipotesi, legata alla possibile contaminazione della farina. Secondo quanto emerso, in un mulino riconducibile a parenti del padre di famiglia era stata effettuata, alcuni mesi fa, una disinfestazione contro i topi.

Le operazioni di derattizzazione prevedono, di norma, l’impiego di specifici veleni per roditori. Secondo quanto riporta Il Messaggero, gli inquirenti non escludono, con la dovuta prudenza, che possa essersi verificato in quella fase un contatto tra il prodotto tossico utilizzato per la disinfestazione e la farina successivamente impiegata in ambito domestico. Questa ipotesi, pur considerata ad oggi solo una delle possibili, è oggetto di approfondite verifiche tecniche.

Sono previste analisi mirate sulle scorte di farina eventualmente ancora disponibili in casa e sui campioni prelevati dal mulino, per accertare l’eventuale presenza di residui di anticoagulanti o altre sostanze tipicamente contenute nei rodenticidi. Gli esperti tossicologi confrontano in parallelo gli eventuali esiti con i dati clinici relativi alle vittime, per verificare la compatibilità tra il quadro sintomatologico e un’esposizione a tali composti.

Le autorità sottolineano che, al momento, nessuna delle piste investigative può essere ritenuta definitiva. Sia la possibilità di una tossinfezione alimentare sia quella di una contaminazione chimica della farina restano aperte, in attesa dei risultati di laboratorio, delle perizie medico-legali e delle relazioni tecniche che saranno depositate nei prossimi giorni.

La posizione dell’Asl regionale e l’attesa per gli esiti finali

Sulla vicenda è intervenuta ufficialmente anche l’Asl regionale, chiamata a fare chiarezza sul funzionamento del sistema sanitario e sulle tempistiche dei soccorsi. Il direttore generale Giovanni Di Santo ha descritto quanto accaduto come una tossinfezione dalla natura ancora non definita con certezza, ipotizzando due possibili origini: una matrice alimentare oppure una causa chimica esterna.

Di Santo ha inoltre precisato che le dimissioni dal pronto soccorso sarebbero state concordate con i familiari, poiché i sintomi iniziali presentati non apparivano, in quella fase, specifici o riconducibili con chiarezza a un quadro grave e immediatamente minaccioso per la vita. Proprio questi passaggi, tuttavia, rientrano ora nell’analisi della Procura, che intende stabilire se la valutazione clinica effettuata sia stata congrua rispetto alle condizioni effettive delle pazienti.

L’azienda sanitaria ha avviato a sua volta verifiche interne per ricostruire in maniera completa la gestione dei casi, dalle prime telefonate ai servizi di emergenza alla presa in carico in ospedale, fino alle successive dimissioni e ai nuovi accessi. L’obiettivo dichiarato è fornire alle autorità giudiziarie e alla comunità tutte le informazioni necessarie, nel rispetto dei tempi delle indagini in corso.

La piccola comunità di Pietracatella e l’intero territorio regionale restano in attesa delle conclusioni degli esami tossicologici e dell’autopsia, che dovranno dare una risposta definitiva sulle cause dell’intossicazione costata la vita a Antonella Di Ielsi e a sua figlia Sara. Solo dopo la conclusione di tutti gli accertamenti sarà possibile individuare, con piena certezza, la catena degli eventi che ha portato a una tragedia che ha profondamente scosso l’intera comunità e ha aperto un fronte di rigorose verifiche sul piano sanitario e giudiziario.

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