
“Sono nostri, non dello Stato”: Emanuele Filiberto e i Savoia contro l’Italia, cosa succede – Da quasi ottant’anni riposano in silenzio dietro una porta blindata. Brillanti, perle, diamanti e diademi che nessuno, se non pochissimi addetti ai lavori, ha più potuto vedere. È il tesoro della Corona d’Italia, il lascito più scintillante della monarchia sabauda, depositato alla Banca d’Italia all’indomani del referendum istituzionale del 1946. Oggi, dopo decenni di silenzio e carte bollate, gli eredi di casa Savoia tornano all’attacco. Maria Gabriella, Maria Pia, Maria Beatrice ed Emanuele Filiberto hanno deciso di presentare ricorso contro la sentenza che ha stabilito la proprietà statale delle Gioie della Corona. «Quei gioielli sono nostri, non dello Stato», ribadiscono, annunciando la nuova azione legale che riaccende una disputa mai del tutto sopita.

“Sono nostri, non dello Stato”: Emanuele Filiberto e i Savoia contro l’Italia, cosa succede
Il cofanetto custodito in Bankitalia, racconta il Corriere della Sera, contiene oltre seimila brillanti, duemila perle, un raro diamante rosa, diademi e collier appartenuti alle regine d’Italia. Fu l’avvocato Falcone Lucifero, reggente del Ministero della Real Casa, a consegnarli il 5 giugno 1946, “per conto di Sua Maestà Umberto II”, con l’indicazione che dovessero essere “tenuti a disposizione di chi di diritto”. Oggi il valore stimato supera i 300 milioni di euro. Ma il nodo non è economico o non solo: riguarda la legittima titolarità del patrimonio. Secondo i Savoia, quei beni «non furono mai confiscati, ma semplicemente depositati». La difesa chiede alla Corte d’Appello di non applicare la XIII disposizione transitoria della Costituzione, ritenuta in contrasto con il diritto europeo, e di autorizzare la riapertura del cofanetto per verificarne il contenuto.

La replica dei giudici: “Appartengono allo Stato”
La magistratura ha però ribadito una posizione opposta. Il giudice Mario Tanferna, nella sentenza di primo grado, ha chiarito che «i gioielli non sono mai appartenuti a Umberto II, ma allo Stato fin dai tempi dello Statuto Albertino». Un principio rimasto intatto nel passaggio alla Repubblica, che stabilisce «l’avocazione allo Stato dei beni degli ex re di Casa Savoia e dei loro discendenti maschi». Il magistrato ha respinto anche il richiamo alla figura di Luigi Einaudi, allora governatore della Banca d’Italia, che nei suoi diari aveva annotato che “le gioie potrebbero spettare alla famiglia reale”.
Per Tanferna, tuttavia, quelle parole non hanno valore giuridico, solo “il riflesso di simpatie monarchiche”, come confermato dall’ex capo dell’ufficio legale di Bankitalia, Olina Capolino.
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