
Vertice Trump-Putin, come è andata e cos’è successo – Il tanto atteso incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin ad Anchorage doveva rappresentare il primo passo concreto verso una nuova stagione diplomatica tra Stati Uniti e Russia. L’immagine dei due leader che salgono insieme sulla “Beast”, la blindata presidenziale americana, era stata accuratamente orchestrata per trasmettere un messaggio di ritrovata intesa personale e politica. Nonostante le aspettative e l’importanza simbolica dell’evento, il vertice si è concluso senza alcun progresso significativo sul fronte del conflitto in Ucraina.

Vertice Trump-Putin, come è andata e cos’è successo
I colloqui, durati poco più di due ore e mezza presso la Joint Base Elmendorf-Richardson, non hanno prodotto né accordi scritti né impegni verbali. Il tema centrale era il raggiungimento di un cessate il fuoco immediato, una promessa chiave della campagna di Trump. Tuttavia, nessuna delle due delegazioni è riuscita a superare le rigide posizioni già note, lasciando in sospeso ogni possibilità di soluzione a breve termine.
La scenografia della diplomazia, compreso il pranzo di gala approntato per suggellare eventuali intese, si è rivelata vuota di contenuti: i piatti sono rimasti intatti e le discussioni su energia, scambi commerciali e aperture economiche sono state rimandate sine die. Putin, da parte sua, ha mantenuto una linea di fermezza, ribadendo la volontà di proseguire sulla strada intrapresa, mentre Trump si è trovato a dover gestire una situazione in cui le sue aspettative sono state disattese. In assenza di risultati tangibili, il presidente americano ha cercato di minimizzare l’accaduto definendo l’incontro “produttivo” e affermando che “molti punti sono stati concordati”, ma la realtà dei fatti racconta una storia diversa. L’obiettivo principale, il cessate il fuoco in Ucraina, resta lontano e nessuna road map è stata delineata.


Le reazioni internazionali e la delusione diplomatica
La rinuncia alla conferenza stampa congiunta, elemento di forte valenza simbolica in ambito diplomatico, ha certificato la portata del fallimento del vertice. Se ci fosse stato anche solo un successo marginale, Trump non avrebbe esitato a celebrarlo pubblicamente, come già accaduto dopo il vertice NATO in Olanda. Invece, una sola dichiarazione di circostanza è stata rilasciata: “Non c’è un accordo finché non c’è un accordo”. Una frase che non maschera la realtà di un confronto rimasto senza esito.
Il tempo effettivamente dedicato ai colloqui, meno della metà delle cinque ore previste, è stato rivelatore delle difficoltà incontrate. Putin ha potuto contare su una preziosa occasione di legittimazione internazionale, mostrandosi accanto al presidente degli Stati Uniti e rompendo parzialmente l’isolamento seguito all’invasione dell’Ucraina. Al contrario, Trump è rientrato a Washington senza risultati concreti, alimentando dubbi sulla sua strategia negoziale. Gli alleati europei hanno espresso delusione e preoccupazione per l’esito del vertice. La cancelliera tedesca e il presidente francese avevano già manifestato scetticismo sull’utilità dell’incontro, timorosi che potesse rafforzare la posizione di Putin. In Kiev, l’esclusione di Zelensky dal tavolo delle trattative ha aggravato il senso di smarrimento: la speranza di una pressione americana efficace su Mosca si è dissolta, lasciando spazio al timore che la Russia possa sfruttare il tempo guadagnato per intensificare la propria offensiva.
La diplomazia internazionale ora guarda alle prossime mosse degli Stati Uniti. Gli osservatori sottolineano come la priorità sia la definizione di una nuova strategia che possa realmente incidere sulle dinamiche del conflitto, sia attraverso l’inasprimento delle sanzioni verso i partner commerciali della Russia, sia mediante un’accelerazione delle forniture militari all’Ucraina. Tuttavia, permane l’incertezza sulle reali intenzioni della Casa Bianca, che ha finora prediletto la via del dialogo diretto con il Cremlino.
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