Le ammissioni del 2009 e le prime anomalie nelle indagini
Il tema delle fotografie mancanti fu sollevato già durante il primo processo ad Alberto Stasi. Il 17 marzo 2009, in aula, l’allora pubblico ministero Rosa Muscio dichiarò: «Il resto delle foto non c’era più». Nel fascicolo risultavano soltanto i cd e i documenti cartacei consegnati dai RIS e dai carabinieri di Vigevano. Questa ammissione confermava la perdita definitiva di parte della documentazione visiva raccolta durante il sopralluogo iniziale.
I primi a notare la discrepanza tra i numeri delle fotografie furono i legali di Stasi, che rilevarono come alcune immagini risultassero semplicemente inesistenti all’interno della sequenza numerica automatica delle fotocamere. Il giudice Stefano Vitelli, futuro autore dell’assoluzione di Stasi, sollecitò spiegazioni, ottenendo come risposta che le immagini erano state sovrascritte dai RIS a causa della riutilizzazione della stessa memory card per altri sopralluoghi. Una procedura oggi fortemente criticata dalla comunità scientifica e forense.
Questa perdita di materiale fotografico, seppur inizialmente sottovalutata, ha assunto negli anni un peso crescente, soprattutto alla luce delle nuove tecnologie a disposizione per l’analisi delle scene del crimine. Le foto mancanti avrebbero potuto documentare dettagli ora irrecuperabili, come tracce biologiche, orme o impronte digitali, elementi essenziali per la Bloodstain Pattern Analysis e per la corretta ricostruzione dei fatti.
L’assenza di queste immagini, inoltre, complica la valutazione delle modalità con cui è stata gestita la scena, già alterata dalla presenza di numerose persone estranee prima del completamento dei rilievi. L’errore nella catena di custodia delle prove rappresenta uno degli aspetti più critici emersi nel corso delle varie fasi processuali.

Le nuove indagini e le prospettive sulla riapertura del caso
Con la riapertura delle indagini, sotto la guida del procuratore Fabio Napoleone, l’attenzione si sposta ora sulle nuove tracce genetiche individuate grazie alle tecniche di ultima generazione. Tra queste spiccano la presenza di un DNA maschile sul pollice della vittima e alcuni residui di origine femminile su superfici sensibili all’interno dell’abitazione. Gli esperti stanno lavorando per confrontare questi reperti con quelli già analizzati in passato, nel tentativo di individuare eventuali corrispondenze decisive.
Il percorso, tuttavia, si presenta lungo e complesso. I novanta giorni previsti per le nuove perizie stanno per scadere, ma è già stata ipotizzata una proroga, così come uno slittamento dell’udienza fissata per il 24 ottobre. Questi ritardi alimentano il senso di attesa e la speranza, mai sopita, di poter finalmente chiarire tutte le responsabilità legate a uno dei casi più emblematici della cronaca nera italiana.
Il lavoro degli inquirenti si concentra anche sulla possibilità che nella villetta di via Pascoli, quella mattina del 2007, non fosse presente un solo aggressore. Le fotografie scomparse potrebbero aver contenuto dettagli cruciali, come impronte o tracce di passaggi multipli, che oggi restano un mistero insoluto e rendono ancora più ardua la ricostruzione degli eventi.
L’evoluzione della vicenda di Garlasco è seguita con attenzione sia dagli addetti ai lavori che dall’opinione pubblica. Ogni sviluppo riporta alla luce interrogativi mai sopiti, sottolineando l’importanza di una gestione rigorosa delle prove e di un approccio scientifico nella risoluzione dei crimini.
La ricerca della verità tra ostacoli e speranze residue
La perdita di elementi probatori può compromettere in modo irreparabile la ricerca della verità. Oggi, grazie ai nuovi strumenti di indagine e alla determinazione degli inquirenti, resta aperta una finestra per fare luce su quanto accaduto, ma il tempo trascorso rende tutto più difficile.
La speranza delle famiglie coinvolte e della collettività è che la nuova fase investigativa possa portare a risposte definitive, restituendo certezza a una vicenda che ha segnato profondamente la storia giudiziaria italiana. La verità su Garlasco passa anche dalla capacità di apprendere dagli errori del passato e di garantire, per il futuro, standard più elevati nella gestione delle scene del crimine.