
News Tv. In un momento estremamente delicato e vicave del dibattito civile italiano, alla vigilia di un referendum cruciale sui diritti del lavoro e sulla cittadinanza, una nuova polemica si abbatte sul governo. Con toni sempre più accesi, lo scontro tra istituzioni e opposizioni sfocia in un terreno minato. E questa volta nel mirino finisce direttamente Giorgia Meloni, presidente del Consiglio. A scatenare il caso è Luigi Li Gotti, avvocato e volto noto nelle cronache giudiziarie, che lancia un’accusa clamorosa, tanto provocatoria quanto controversa.
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Giorgia Meloni e il voto simbolico: un caso politico-giuridico
Nel contesto del referendum del 7 e 8 giugno 2025, in cui gli italiani sono chiamati a decidere su temi sensibili come l’estensione dei diritti di cittadinanza e le tutele sul lavoro, l’annuncio di Giorgia Meloni di voler andare al seggio senza ritirare la scheda ha scatenato reazioni forti. Durante l’ultima puntata di Piazza Pulita, su La7, Luigi Li Gotti ha colto l’occasione per sollevare dubbi di legittimità su questa scelta. “Domani sera a mezzanotte scatta il silenzio elettorale, per cui ogni manifestazione di propaganda è vietata”, ha spiegato il legale, insinuando che il gesto della premier configurerebbe un reato.
L’accusa è precisa: propaganda per l’astensione in un momento in cui la legge impone silenzio. “Nel momento in cui la presidente Meloni annuncia di andare al seggio e di fare il gran rifiuto delle schede, sa benissimo che sarà seguita dalle telecamere”, ha dichiarato. Un’uscita destinata a dividere l’opinione pubblica e ad aprire un nuovo fronte di conflitto istituzionale.
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Luigi Li Gotti, il giurista che mette sotto accusa il governo
Non è la prima volta che Luigi Li Gotti prende di mira la premier e i suoi ministri. Come ricordato da “Il Giornale”, il legale è l’autore della denuncia per favoreggiamento e peculato che ha fatto scattare l’avviso di garanzia non solo per Giorgia Meloni, ma anche per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano, nel controverso caso Almasri.
Ora, il giurista rilancia, spingendosi fino ad affermare che il comportamento della premier, anche se formalmente lecito, “diventa un messaggio per gli elettori”, un messaggio – secondo lui – vietato durante il silenzio elettorale. “È vero – prova a smussare Li Gotti – che si può fare, ma se a farlo è il presidente del Consiglio… è un reato”. Un’affermazione pesante, che trascina la discussione su un crinale molto scivoloso: quello dell’uso giudiziario del simbolismo politico.
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