
Il consenso su Prevost
Le ipotesi su come questi voti siano stati “ceduti” sono molteplici. Forse provenivano da chi supportava Parolin, o da coloro che cercavano un cardinale più bergogliano. Qualunque fosse l’origine, il risultato è stato chiaro: la necessità di un cambiamento non ha trovato terreno fertile, e la barca di Pietro continua a navigare in un mare turbolento.
Lavoro invisibile: il patto non scritto tra Usa, Perù e Germania
Secondo fonti vicine ad alcuni cardinali europei, dietro il risultato elettorale c’è stato un lavoro diplomatico tanto paziente quanto discreto. Tre figure chiave hanno operato dietro le quinte: Cupich, arcivescovo di Chicago; Carlos Gustavo Castillo Mattasoglio, arcivescovo di Lima; e Reinhard Marx, il tedesco che aveva dialogato a lungo con Prevost durante le tensioni sul cammino sinodale. Una rete silenziosa senza dichiarazioni pubbliche, mirata a un papa capace di gestire il delicato passaggio post-Bergoglio.
Nei corridoi vaticani, si racconta che due cardinali italiani meno noti avessero suggerito di convergere su Prevost già dal secondo giorno, non per entusiasmo, ma per realismo. “È l’unico che tiene insieme Marx e Müeller“, avrebbe affermato uno di loro, sottolineando un paradosso apparente ma efficace. La scelta di un pontefice che non divide, non spaventa e non promette è stata vista come una strategia vincente.
Un consenso non ideologico, costruito sulla fiducia
La capacità di Prevost di evitare rigidità ideologiche ha giocato un ruolo cruciale nella sua elezione. Sebbene sia americano, la sua formazione e il suo spirito profondamente latinoamericano hanno contribuito alla sua accettazione all’interno del conclave. Con vent’anni vissuti in Perù lontano dalle influenze dei palazzi, ha guadagnato la reputazione di ascoltatore autentico. Durante le assemblee sinodali del 2023 e 2024, era noto per prendere appunti silenziosamente mentre altri discutevano, dimostrando un approccio umile e riflessivo.
La sua elezione è stata ulteriormente facilitata dalla stima reciproca con influenti porporati italiani come Paolo Lojudice e Jean-Marc Aveline. Questi rapporti, seppur apparentemente minori, si sono rivelati significativi nelle dinamiche interne del dicastero dei Vescovi. Un presente ha osservato: “Non divide, non spaventa, non promette, e questo oggi vale più di mille proclami”. (Continua a leggere dopo la foto…)

Il rischio di un papa di transizione, ma con potenziale sinodale
L’elezione di Leone XIV è vista da alcuni come un segnale di stabilità e potenziale transizione. Tuttavia, altri intravedono in lui la possibilità di un’evoluzione radicale, proprio grazie alla sua apparenza di continuità. Nel suo primo discorso, l’appello a “costruire ponti di pace” è stato interpretato sia come un messaggio universale sia come un’iniziativa interna per ricucire e coinvolgere più voci nel governo ecclesiale.
Durante il Conclave, è emersa con forza l’idea di riformare la figura del Papato, rendendolo più collegiale. Sebbene Prevost non abbia mai pubblicamente teorizzato questa possibilità, molti credono che il suo pontificato possa ispirarsi a questa visione. Come ha dichiarato un cardinale francofono dopo la votazione: “Un papato con più voci, non più debole“, suggerendo che in questa formula risieda l’essenza di Leone XIV.