
Nell’atmosfera solenne del Quirinale, le parole del Capo dello Stato sono risuonate come uno squarcio nel silenzio. Davanti a una rappresentanza delle istituzioni, in occasione di una celebrazione ufficiale, il Presidente ha scelto di mettere da parte il protocollo per affrontare a viso aperto una realtà che troppo spesso resta nascosta agli occhi dell’opinione pubblica. Non è un semplice richiamo: è un vero e proprio appello alla coscienza collettiva.
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Carceri italiane allo stremo: “Un’emergenza sociale”
Durante il ricevimento del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Stefano Carmine De Michele, e di una delegazione della Polizia Penitenziaria per il 208° anniversario della sua fondazione, Sergio Mattarella non ha usato mezzi termini:
“È drammatico il numero di suicidi nelle carceri, che da troppo tempo non dà segni di arresto”, ha dichiarato con fermezza.
Il Capo dello Stato ha descritto il fenomeno non solo come un problema carcerario, ma come una vera e propria emergenza sociale. Un’emergenza che interroga le istituzioni, la società civile, ma anche i cittadini comuni. “Occorre interrogarsi per porvi fine immediatamente”, ha aggiunto, sottolineando che la situazione non è più sostenibile. Il carcere non può trasformarsi in una condanna anticipata alla disperazione.
Sovraffollamento e degrado: sistema al collasso
Ma non si è fermato ai numeri dei suicidi. Il presidente Mattarella ha voluto accendere i riflettori anche sulle condizioni disumane in cui molti detenuti e agenti della penitenziaria si trovano quotidianamente.
“Le preoccupanti condizioni del sistema carcerario sono contrassegnate da una grave e ormai insostenibile condizione di sovraffollamento”, ha detto con amarezza. In molte strutture italiane, i numeri superano di gran lunga la capienza regolamentare, con celle che ospitano il doppio, se non il triplo, dei detenuti previsti.
Un sistema così congestionato non solo mina la dignità umana, ma mette anche a rischio la sicurezza, la salute mentale e fisica dei reclusi e degli stessi operatori. Un contesto che rende impossibile ogni forma di rieducazione, sancita dalla Costituzione come principio cardine della pena detentiva.
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