
Un nuovo capitolo si apre nel caso dell’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco. La recente consulenza depositata oggi ha riacceso i riflettori sulla “impronta 33”, un elemento già discusso nelle fasi precedenti dell’inchiesta. Questo dettaglio, che sembrava consolidare le accuse contro Andrea Sempio, potrebbe ora essere interpretato diversamente, alterando significativamente l’andamento del processo.
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Nuovi dubbi sull’impronta 33
I recenti sviluppi derivano da un’analisi terminata oggi, che lascia aperti molti quesiti sulla natura dell’impronta e sulla sua rilevanza nel caso. Questa evoluzione potrebbe portare a una riconsiderazione delle posizioni assunte finora, con potenziali ripercussioni sull’intero impianto accusatorio.
L’attenzione si concentra ora su due aspetti principali messi in discussione dai consulenti della difesa: la qualità del reperto e la natura della traccia chimica presente. Questi punti sono stati sollevati nel documento presentato a Milano dai periti di Sempio, Luciano Garofano e Luigi Bisogno.
Garofano, ex comandante del RIS, ha sottolineato la mancanza di rigore fotografico nella documentazione delle minuzie dattiloscopiche utilizzate per attribuire l’impronta a Sempio. Secondo i difensori, solo cinque punti sono stati identificati con certezza, un numero insufficiente per una conferma forense.


Contestazione dell’impronta 33: le critiche degli esperti
I consulenti di Sempio contestano la metodologia adottata dalla Procura di Pavia, suggerendo che le prove finora considerate cruciali potrebbero essere interpretate diversamente. Il cuore della nuova contestazione riguarda la cosiddetta “macchia ipotenare”, precedentemente ritenuta una traccia di sangue.
Secondo Garofano e Bisogno, la macchia è in realtà un accumulo di sudore, un dettaglio chimico che potrebbe cambiare la lettura della prova. Se confermato, questo elemento potrebbe suggerire un contatto innocuo piuttosto che un residuo di un atto violento, riducendo l’impatto dell’impronta nel contesto dell’indagine.
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