Godzi: quando il set diventa pelle, quando il ritmo è visione
Chi lo ha visto in consolle, lo sa. Godzi non si limitava a far ballare: creava ambienti, respirava col pubblico, scolpiva tensioni. Era una visione, non solo un artista. La sua musica si muoveva tra eleganza e potenza, unendo le radici partenopee alla modernità dei dancefloor europei: Londra, Barcellona, Berlino, Parigi, fino agli Stati Uniti. Era riconoscibile. Aveva stile, aveva profondità. In lui, la club culture trovava una voce spirituale, che non aveva paura di scavare. Ogni suo set era una piccola esperienza mistica, una danza che sapeva di catarsi, di abbandono, di verità.

Un addio che lascia il vuoto, e un’eco che non si spegne
Oggi il suo nome si ripete come un mantra nei post, nei messaggi vocali, nei commenti sotto i video: “Ciao Godzi”, scrivono in tanti, “grazie per la musica, per l’abbraccio, per la luce”. Il dolore non è solo quello di una scena underground che perde uno dei suoi interpreti più puri. È quello, ancora più profondo, di chi ha conosciuto Michele fuori dal palco: un uomo gentile, generoso, pieno di grazia e di domande. E mentre Ibiza lo piange con le sue albe arancioni e Napoli lo ricorda con il cuore in gola, resta ciò che lui stesso aveva trasformato in eredità: una musica che non finge, che non mente, che cerca il vero anche quando tutto sembra confondersi.