
Garlasco, il giallo dell’impronta: sparito un reperto importantissimo che potrebbe accusare Sempio. Un’indagine che si riapre senza (forse) il suo tassello più prezioso, un’impronta che potrebbe raccontare i fatti, ma non può più essere ascoltata. E mentre si accendono nuovi riflettori su Andrea Sempio, riemergono anche gli errori, le assenze, le prove che non ci sono più. Un filo sottile lega il delitto di Garlasco alla strage di Erba, ed è quello della memoria giudiziaria che si dissolve tra archivi e inceneritori.
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Garlasco e la prova mancante
Il nuovo filone d’indagine sul delitto di Garlasco sembra destinato a inseguire un fantasma. La cosiddetta “pistola fumante”, l’impronta della mano che potrebbe collocare Andrea Sempio sulla scena del crimine, è diventata ormai un’ipotesi teorica. L’unico modo per renderla una prova inoppugnabile sarebbe analizzare il frammento di muro da cui fu prelevata, ma quel pezzo di intonaco – trattato con ninidrina e potenzialmente portatore di DNA o tracce ematiche – non è più negli archivi della Procura di Pavia né presso i carabinieri del Ris di Parma. Secondo quanto riportato da Il Messaggero, si presume che sia stato distrutto, come spesso accade con i reperti di indagini concluse con sentenza definitiva.
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Strage di Erba, paralleli inquietanti
Una dinamica simile ha segnato anche la controversa vicenda della strage di Erba. Il 12 luglio 2018, 176 reperti – tra cui tracce di sangue, materiale organico, oggetti e tessuti – furono inceneriti dal Tribunale di Como, proprio mentre la Corte di Cassazione stava valutando il ricorso di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Secondo i loro legali, quelle prove avrebbero potuto aprire la strada a un nuovo incidente probatorio. Anche in quel caso, si trattò di una distruzione illegittima, secondo quanto riportato da Il Messaggero, perché avvenuta prima della decisione della Suprema Corte. Due storie diverse, ma segnate dalla stessa inquietudine: quella di prove eliminate prima che potessero essere completamente comprese o rivalutate.
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