
Caso Orlandi, la decisione sulle ossa ritrovate: cosa succede ora. Roma è di nuovo teatro di un mistero che scuote coscienze e memorie. Un ritrovamento, avvenuto durante i lavori di ristrutturazione in un padiglione abbandonato dell’ospedale San Camillo, riporta alla superficie una ferita mai rimarginata: la scomparsa di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana svanita nel nulla il 22 giugno 1983. La scoperta di ossa umane nel vano di un ascensore chiuso da decenni ha riacceso un faro sull’intricato e doloroso caso, portando con sé domande, sospetti e il peso di una verità ancora sospesa.
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Il ritrovamento di ossa al San Camillo
Il 24 luglio, un operaio di una ditta incaricata della ristrutturazione del Padiglione Monaldi ha fatto una scoperta inquietante tra cumuli di rifiuti e detriti: resti umani, apparentemente datati, giacevano nel vano di un ascensore al piano terra. Un primo esame esterno ha suggerito che si tratti di ossa risalenti a un periodo compreso tra i tre e gli otto anni, ma serviranno le analisi genetiche per stabilirne con certezza sesso, età e identità.
A sollevare subito un’ipotesi che scuote, più che sorprende, è Pietro Orlandi, fratello della ragazza vaticana: “Ogni volta che si trovano ossa per Roma sembra debbano appartenere per forza a Emanuela. Speriamo di no”, ha scritto sul gruppo Facebook da lui fondato.
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La pista Minardi e i sotterranei di Monteverde
L’ipotesi che i resti ritrovati possano appartenere a Emanuela Orlandi affonda le sue radici in una vecchia pista, quella fornita da Sabrina Minardi, ex compagna di Enrico “Renatino” De Pedis, storico esponente della Banda della Magliana. Minardi, scomparsa pochi mesi fa, aveva raccontato nei primi anni 2000 alla procura e a “Chi l’ha visto” che la giovane sarebbe stata nascosta in un’abitazione di via Antonio Pignatelli 13, nel quartiere Monteverde nuovo, collegata tramite un sotterraneo all’ospedale San Camillo.
“Fu De Pedis a rapire Emanuela Orlandi”, dichiarò la donna, affermando di aver avuto un ruolo nel trasferimento e nella prigionia della ragazza. Il suo racconto contribuì alla riapertura dell’inchiesta nel 2008, condotta dal magistrato Giancarlo Capaldo. Il 26 giugno di quell’anno gli investigatori accertarono l’esistenza del passaggio sotterraneo descritto dalla Minardi, ma non trovarono alcuna traccia riconducibile a Emanuela.
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