Papa Francesco, perché si parla di “miracolo” prima del funerale di oggi
La verità è che questo funerale ha avuto il sapore amaro della grande occasione persa. Delegazioni sfarzose, sorrisi tirati tra capi di Stato, qualche abbraccio di circostanza: sembrava più la prima di un colossal hollywoodiano che il commiato a un uomo che aveva chiesto di “costruire ponti, non muri”. E di muri, loro, in vita ne hanno tirati su a decine. Non solo quelli di cemento armato: quelli invisibili, ancora più spessi, fatti di cinismo, disuguaglianza, egoismi nazionali. Basta poco, d’altronde, per sentirsi a posto con la coscienza: un tweet strappalacrime, una dichiarazione calibrata al millimetro davanti ai microfoni, e via, siamo tutti santi per un giorno. Nessuno che abbia avuto il coraggio, oggi, di ricordare davvero chi era Francesco: un Papa scomodo, scomodissimo. Uno che non cercava applausi ma conversioni vere, cambiamenti concreti. Uno che non lisciava il pelo al potente di turno, ma gli rovesciava addosso tutto il peso del Vangelo. (continua a leggere dopo le foto)

La coerenza sarà l’assente più vistosa
Lui parlava di fame, di migranti morti in mare, di guerre sporche, di indifferenza letale. E lo faceva senza temere l’impopolarità, senza nascondersi dietro le formule vuote della diplomazia. Per questo è stato amato dai poveri e temuto da chi sta in alto. E oggi, guarda caso, il suo corpo immobile sul sagrato ha reso molto più semplice onorarlo: ora che non può più chiedere conto, ora che non può più alzare la voce. Alla fine, questa giornata ci regala una lezione amara ma chiarissima: rendere omaggio a chi ci sfidava a cambiare è facilissimo, purché sia ridotto al silenzio. E la coerenza? Beh, quella, come sempre, è stata l’assente più vistosa.