
C’è un nuovo elemento che rischia di rimettere in discussione tutto ciò che sembrava già scritto sull’omicidio di Chiara Poggi. Un dettaglio inquietante, emerso a distanza di quasi due decenni, e che ha riacceso dubbi, ipotesi e speranze di verità. Un frammento di Dna maschile nella bocca della vittima, rinvenuto durante gli esami sul tampone orale effettuato nel corso dell’autopsia, è ora al centro delle nuove analisi tecniche ordinate dalla gip di Pavia. E quel Dna, che non appartiene né ad Alberto Stasi né ad Andrea Sempio, potrebbe cambiare tutto.
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Due Dna maschili: uno noto, uno sconosciuto
Gli esperti parlano chiaro: sul tampone usato durante l’autopsia sono presenti due distinti profili genetici. Uno sarebbe compatibile al 70-80% con Ernesto Gabriele Ferrari, l’assistente del medico legale Dario Ballardini, colui che eseguì i primi rilievi sul corpo. Un’ipotesi di contaminazione, dicono i periti, legata all’uso della garza per la raccolta del materiale biologico. Ma è l’altro profilo quello che tiene tutti con il fiato sospeso. Si trova nella zona della lingua e del palato ed è presente in quantità molto ridotte, pochi picogrammi, ma abbastanza per far pensare a una presenza maschile ignota. Chi è l’uomo il cui Dna si trova nella bocca della giovane Chiara Poggi?
Possibile traccia dell’assassino?
L’ipotesi più inquietante — e allo stesso tempo più delicata — è che quel Dna possa appartenere all’assassino. Potrebbe essere stato lasciato durante una colluttazione, un tentativo della vittima di difendersi, forse un morso. O magari, come suggeriscono i magistrati, quella bocca tappata con forza per impedirle di gridare. I carabinieri del nucleo investigativo di Milano e la Procura di Pavia, guidata dal procuratore Fabio Napoleone, non escludono nessuna pista. Anche perché, finora, i tamponi avevano rilevato solo tracce della vittima e nessun altro. Ora invece si apre uno scenario nuovo: bisognerà confrontare quel Dna con chiunque sia entrato in contatto con il corpo o con la casa di via Pascoli.
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