
Quella notte, il mare sembrava identico a sempre, mentre le luci pallide delle banchine tremolavano incerte sull’acqua. Da una finestra, l’eco di una vecchia sigla televisiva risuonava, una di quelle che aveva accompagnato sentimenti contrastanti: rabbia e speranza, rancore e devozione. Qualcuno in quella stanza non c’era più. Era una persona che, per decenni, aveva alzato la voce fino a farsi ascoltare anche da chi non voleva, o non poteva. Nella città delle parole urlate, qualcosa di profondo era giunto alla fine. Non si trattava solo di una stagione o di un mandato politico, ma di qualcosa di più viscerale. Come un faro che, anziché illuminare, abbagliava.
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Era una figura divisiva, mai banale, capace di catalizzare attenzioni e polemiche. Per alcuni un tribuno del popolo, per altri un populista spregiudicato, ma di certo uno dei volti più riconoscibili della scena politica e mediatica del Sud Italia negli anni ’90. Il suo linguaggio diretto, spesso provocatorio, e le sue battaglie fuori dalle regole istituzionali lo hanno reso protagonista assoluto nel panorama politico tarantino e nazionale. Dal piccolo schermo ai palazzi della politica, dalla cronaca giudiziaria alle marce di protesta, la sua vita ha seguito un percorso inusuale e spesso burrascoso. Era un uomo che non scendeva mai a compromessi con lo stile, anche quando a farne le spese era la forma. La sua voce, per anni, è stata un megafono del disagio meridionale, amplificata dalle sue stesse emittenti televisive.
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