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Garlasco, le ricerche sospette nel pc di Chiara Poggi

Chiara Poggi Computer

A quasi diciotto anni dall’omicidio di Chiara Poggi, il caso Garlasco continua a sollevare domande e a interessare l’opinione pubblica italiana. La vicenda si arricchisce oggi di nuovi elementi, legati in particolare all’utilizzo e alle analisi dei computer appartenuti sia alla vittima che all’ex fidanzato Alberto Stasi. L’attenzione si concentra ora sui dettagli digitali emersi durante le recenti indagini, che stanno ridefinendo il quadro investigativo e stimolando riflessioni su aspetti finora poco approfonditi.

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Chiara Poggi Computer

Le rivelazioni del perito Daniele Occhetti

Nel corso di una trasmissione televisiva, Daniele Occhetti, perito informatico, ha rivelato informazioni inedite riguardo ai dispositivi elettronici coinvolti nel caso. Già nel 2009, insieme al collega Roberto Porta, aveva effettuato una prima analisi dei computer, rilevando dati significativi: tra questi, l’orario di accensione del pc di Stasi alle 9:35 del giorno dell’omicidio e l’assenza di prove che i contenuti espliciti trovati su quel dispositivo fossero mai stati visti da Chiara Poggi.

Le nuove dichiarazioni hanno contribuito ad alimentare l’interesse mediatico. Secondo Occhetti, la valutazione oggettiva dei dati informatici suggerisce che «Chiara poteva allarmarsi molto di più dai contenuti presenti sul suo computer che non su quelli di Stasi». Il perito sottolinea inoltre che eventuali reazioni della vittima potrebbero essere attribuite anche ad altri soggetti che avevano accesso al suo pc, in quanto i contenuti rinvenuti erano di analoga natura.

Accessi multipli e nuove piste investigative

Questi particolari hanno riacceso il dibattito pubblico, ponendo l’accento sul ruolo cruciale della tecnologia nelle indagini e sulla necessità di comprendere chi effettivamente utilizzasse i dispositivi nei giorni precedenti e successivi al delitto.

L’esame dei computer ha portato alla luce elementi determinanti per comprendere la dinamica degli eventi. Come evidenziato dai consulenti tecnici, la presenza di file e cronologie di navigazione non riconducibili direttamente alla vittima lascia spazio all’ipotesi che più persone abbiano avuto accesso ai dispositivi. Le copie forensi dei dati, ancora oggi conservate negli archivi giudiziari, potrebbero, secondo Occhetti, essere oggetto di ulteriori analisi: «Le copie sicuramente esistono, dovrebbero essere ancora conservate negli uffici giudiziari e sarebbe ancora possibile analizzare questi dispositivi magari con un incarico diverso dal nostro, forse più ampio».

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