
A quasi 5 anni dalla scomparsa di Alessandro Venturelli, il giovane di Sassuolo sparito il 5 dicembre 2020, il fascicolo rischia di essere archiviato. Un’eventualità che Roberta Carassai, sua madre, rifiuta con forza. Le sue parole toccano il cuore e accendono i riflettori su un sistema che, per molti familiari di scomparsi, appare ancora incapace di dare risposte.
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L’udienza dell’8 luglio: la giustizia può ancora agire
Sarà martedì 8 luglio il giorno decisivo: il giudice del Tribunale di Modena dovrà decidere se accogliere la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura, o se lasciare aperto il fascicolo sulla sparizione del ragazzo, che al momento della scomparsa aveva appena 21 anni. L’inchiesta era già stata prorogata nel 2023 dal giudice Clò, in seguito a nuove segnalazioni provenienti anche dall’estero, in particolare dalla Romania. Le indagini sono state affidate alla squadra mobile di Modena, ma non sono emersi elementi decisivi per cambiare il corso della vicenda.
Secondo quanto emerso, le forze dell’ordine si limitano a verificare le segnalazioni che arrivano sporadicamente: l’ultima sarebbe giunta da Roma e Firenze. Ma, come denuncia Roberta, “non c’è un’indagine attiva, non lo cerca nessuno davvero. Solo io continuo a farlo ogni giorno”.

“Indifferenza istituzionale, io non mi arrendo”
Roberta Carassai, in questi anni, non ha mai smesso di cercare suo figlio. E oggi torna a lanciare un accorato appello: “Mi aspetto che il fascicolo resti aperto per dire al Paese che qualcuno ha a cuore il problema degli scomparsi. La persona che si allontana è fragile, ha bisogno di aiuto, non può essere abbandonata. E con lui, nemmeno la sua famiglia”.
Parole che sottolineano un disagio profondo: il vuoto legislativo e operativo che ancora oggi grava sul fenomeno dei scomparsi in Italia. “Alle istituzioni dico: usate la tecnologia, usate l’intelligenza artificiale. Servirebbe anche per questo. E invece, ci sentiamo soli, abbandonati”. Contro l’archiviazione è stata avviata anche una campagna social, che raccoglie il sostegno di chi, come Roberta, lotta contro l’oblio. Il suo appello al giudice è semplice e umano: “Si metta nei miei panni, provi a pensare se fosse suo figlio”.
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